RASSEGNA STAMPA

LA REPUBBLICA - No global, dieci anni dopo

Seattle, 29 novembre 2009

No global, dieci anni dopo
Il 30 novembre 1999 a Seattle il movimento a sorpresa diede scacco ai potenti della politica
Da allora molto è cambiato

Dieci anni fa il debutto a Seattle del movimento prese di sorpresa i grandi della Terra
Oggi, dopo la crisi, molte delle idee radicali di allora sono state fatte proprie da classi moderate e governi

PORTO ALEGRE NELLA CITTà brasiliana, tra il 25 e il 30 gennaio 2001, si tiene il primo world social forum che diventerà un appuntamento fisso del movimento
SEATTLE il 30 novembre 1999 Al Vertice del wto di seattle i no global sono protagonisti della prima grande manifestazione. circa 600 gli arrestati
IL MANIFESTO Mentre il movimento prende forma, nel 2000 una teorica canadese, naomi klein, scrive il saggio che diventa la bibbia no global: "No LOGO"
GENOVA TRa il 19 e il 22 luglio 2001, i no global protestano al g8 La risposta della polizia è violenta: un ragazzo muore, carlo giuliani
FIRENZE dopo i fatti di genova, il movimento italiano promuove a firenze, nel novembre 2002, il forum sociale che raccoglie gruppi dall´europa
L´ANNIVERSARIO DAL 25 al 29 gennaio 2010 porto alegre ospiterà di nuovo il world social forum giunto alla decima edizione con eventi in tutto il mondo

FEDERICO RAMPINI

Il 75esimo piano del grattacielo Columbia Tower offre la vista più spettacolare sulla baia di Puget Sound, le catene di montagne innevate, l´Oceano Pacifico, la costa frastagliata verso Vancouver. Da quassù il sindaco della "città color smeraldo" Paul Schell dieci anni fa pronunciò la fatidica frase: «Perché mai dovremmo avere paura di questi ragazzi?». Dalle vetrate del Columbia Tower Club, dove erano riuniti i maggiorenti della città per celebrare il vertice della World Trade Organization (Wto), Schell osservava divertito i primi gruppi di manifestanti, i pittoreschi travestimenti verdi da tartaruga marina adottati da alcuni gruppi di animalisti. Il sindaco aveva deciso di proclamare Seattle "città aperta", dando ordine alla polizia di tollerare le proteste.
In poco tempo i primi rivoli di contestatori si sarebbero ingrossati a dismisura, confluendo nel maxicorteo della confederazione sindacale Afl-Cio. Quarantamila manifestanti. Qui il 30 novembre 1999 divampò a sorpresa la più grande protesta di tutti i tempi contro un summit internazionale. Un evento quasi epico, la nascita di quello che all´inizio venne battezzato il "popolo di Seattle", poi il movimento no global. Il permissivismo iniziale del sindaco fu spiazzato quando la protesta sfuggì di mano a tutti, organizzatori e forze dell´ordine.
Oggi Joel Connelly, reporter del Seattle Post Intelligencer, organizza un pellegrinaggio della memoria nei luoghi della "Battaglia di Seattle", il titolo del film con Charlize Theron che ricostruisce quelle giornate di fuoco. C´è la tappa obbligata all´hotel Westin, con visita al caffè dove il segretario di Stato Madeleine Albright rimase prigioniera, asserragliata e sgomenta mentre a pochi metri da lei infuriavano gli scontri. Si prosegue al Washington Athletic Club, dove il segretario dell´Onu Kofi Annan non riuscì neppure a prendere la parola, perché l´amplificazione del suo microfono era coperta dal concerto assordante di urli, sirene della polizia e delle ambulanze, raffiche dei fucili a pallettoni di gomma e lacrimogeni. Il tour si conclude all´hotel Sheraton, la più importante sede del summit. Il 30 novembre lo Sheraton rimase quasi vuoto, irraggiungibile per capi di Stato e ministri, presidiato da un cordone di polizia ormai in preda al panico, tagliato fuori dai rinforzi per le tattiche sorprendenti della guerriglia urbana. In quelle ore, impresse in modo indelebile nella memoria dei testimoni, l´Fbi e il Secret Service tentarono di dissuadere Bill Clinton dal raggiungere Seattle. Non erano sicuri di poter garantire l´incolumità del presidente degli Stati Uniti.
La Seattle di oggi è il simbolo di altre cose. Qui fiorisce il gigante del commercio online Amazon, che con il suo Kindle esplora un futuro digitale per libri e giornali. Dopo il ridimensionamento di Boeing, sono Microsoft e Starbucks a fare di questa punta settentrionale della West Coast statunitense una capitale post-moderna, specializzata nei servizi, proiettata verso l´Asia. «Ma solo gli scontri di quei giorni - ricorda Connelly - disegnarono Seattle sulla mappa geografica dell´opinione pubblica internazionale». Da allora nulla fu più come prima. I summit internazionali si blindarono, senza per questo riuscire a evitare tragedie come il G8 di Genova nel 2001. Dalle riunioni del Fondo monetario internazionale a quelle di Davos in Svizzera, arginare i no global divenne una priorità per i vip del pianeta. Nel cuore dell´Occidente industrializzato mise radici una corrente anti-capitalista, anti-liberista, impegnata a denunciare i danni della globalizzazione sull´ambiente, sui diritti umani, sul Terzo mondo.
«Seattle era il luogo giusto per tenere a battesimo un movimento di quel tipo - ricorda la scrittrice militante canadese Janet Thomas - perché l´etica del lavoro dell´America del Nord-Ovest ha sempre privilegiato la sostanza sull´apparenza; è un´etica plasmata dal rapporto con la natura selvaggia delle montagne e dell´oceano». In realtà l´ubicazione a Seattle della protesta fu quasi casuale. Le avvisaglie di rivolte contro il libero scambio si moltiplicavano da tempo. Il vertice di fine novembre ?99 sotto l´egida dell´Organizzazione del commercio mondiale doveva dare uno slancio poderoso all´abbattimento delle ultime frontiere.
Ma non lo avevano preparato solo Clinton e i tecnocrati delle istituzioni sovranazionali. Da mesi stava crescendo un malcontento in diversi settori della società civile, dal mondo del lavoro alle ong umanitarie. Il decennio di "crescita aurea" dopo la caduta del Muro di Berlino, segnato dall´egemonia americana e dal pensiero unico neoliberista, non aveva convinto tutti dei benefici dell´economia di mercato. Sul Wall Street Journal, il 16 luglio di quell´anno, Helen Cooper aveva lanciato l´allarme: «In vista di Seattle si sta preparando una mobilitazione di dimensioni massicce». Solo il 30 novembre però fu chiara la natura straordinaria dell´evento. Una confluenza irripetibile di movimenti diversi, di generazioni e storie eterogenee. Un incontro quasi magico, che non si sarebbe mai più riprodotto su una scala simile.
Alla vigilia del 30 novembre è già in campo una robusta componente della protesta, la più tradizionale e rispettabile: il sindacato. Delusi dal liberismo di Clinton che ha firmato il trattato Nafta, stremati dalle delocalizzazioni che a quell´epoca esportano mestieri operai verso il Messico, i colletti blu americani decidono di usare il palcoscenico di Seattle per un´offensiva contro l´apertura delle frontiere. Il vertice Wto è salutato dallo sciopero generale dei portuali in tutti gli scali marittimi della West Coast. Il segretario generale dell´Afl-Cio John Sweeney, il leader del potente sindacato dei camionisti (Teamsters) Jim Hoffa sono alla testa del corteo di 25mila lavoratori che la mattina del 30 inizia a sfilare per le vie della città.
Nel frattempo Seattle ha visto affluire da settimane un variopinto mondo di contestatori di altra natura. Migliaia di studenti hanno partecipato ai seminari anti-globalizzazione della University of Washington. A loro si sono uniti gruppi di ambientalisti, ong per la difesa dei diritti umani, movimenti del volontariato impegnati nell´aiuto ai paesi poveri, pacifisti, chiese protestanti. Accorrono a Seattle ideologi della contestazione vecchi e nuovi: il paladino dei consumatori Ralph Nader, il non ancora celebre regista Michael Moore, l´economista indiana Vandana Shiva, il leader dei contadini francesi Jose Bové. Da Greenpeace alla Via Campesina, è un caleidoscopio cosmopolita di ogni pensiero alternativo. Ivi comprese le frange antagoniste radicali. «Tra tutti noi alla fine i più organizzati sono gli anarchici», è la battuta ironica e amara di un editoriale del Seattle Times in quei giorni.
Anche nella galassia dei gruppi estremisti ci sono anime diverse. La Ruckus Society è il caso emblematico di una protesta non violenta che assume forme fantasiose. Addestrati per mesi nel deserto del Nevada, i ragazzi della Ruckus sanno scalare grattacieli e impalcature dei cantieri come degli alpinisti; beffano la polizia; fanno spuntare giganteschi striscioni nei luoghi più impensati della città. Le "tartarughe marine" girano armati di manette di plastica per incatenarsi fra loro; così ostacolano gli arresti perché la polizia deve trascinare di peso interi grappoli umani.
A questa protesta da Carnevale di Rio si contrappone la scheggia violenta dei Black Bloc. È a mezzogiorno del 30 novembre che scattano gli attacchi di vandalismo. Coordinati, sincronizzati in diversi punti della città, studiati a tavolino per provocare la polizia. I Black Bloc con i passamontagna neri si dissimulano nei pacifici cortei sindacali, schizzano fuori all´improvviso per dei raid contro le forze dell´ordine e i negozi. L´immagine di un anarchico con la bandana nera che polverizza la vetrina di un caffè Starbucks viene proiettata all´istante dalla Cnn, fa il giro del mondo, dà il segnale di partenza del caos di Seattle. Le telecamere inquadrano senza pietà i potenti della terra bloccati nei loro alberghi, l´angoscia dei vip smarriti, improvvisamente vulnerabili. La polizia è sopraffatta, spesso concentrata nei luoghi sbagliati della città, sempre battuta in velocità dai commandos dei Black Bloc.
Tocca ai pacifisti tentare di fermare la violenza. La leader storica dell´organizzazione terzomondista Global Exchange di San Francisco, Medea Benjamin, ricorda ancora una situazione assurda. «Ero costretta coi miei compagni a difendere le vetrine di Nike e di McDonalds, e mi chiedevo: dove sono le forze dell´ordine, perché ci hanno abbandonati?». Nel vortice dei disordini i leader sindacali perdono il contatto con la coda del loro corteo. La paura di quelle ore lascerà un ricordo incancellabile; fallisce quel riavvicinamento tra il movimento operaio e la sinistra alternativa che era sembrato possibile come ai tempi della guerra del Vietnam.
Passano ore cruciali - un tempo interminabile in cui Seattle si sente abbandonata al saccheggio - finché il sindaco Schell fa dietrofront, impone il coprifuoco, annuncia il divieto di manifestare nei cinquanta isolati del centro storico. Da quel momento e nei giorni successivi è la polizia a non avere più ritegno, le violenze e gli eccessi cambiano di segno. Fino a lasciare di quelle giornate delle versioni inconciliabili. «Per alcuni di noi - ricorda Janet Thomas - fu quella la vera fine del Ventesimo secolo e l´alba di una nuova comunità globale, più solidale. Per altri quelle furono le giornate dell´apocalisse e della vergogna, una macchia infame».
Perciò l´eredità del movimento di Seattle è complessa e controversa. Nacque quel giorno una coscienza critica della globalizzazione che superava le frontiere degli Stati, una società civile sovranazionale. Al tempo stesso si spezzò il filo di dialogo fra l´amministrazione Clinton e la sinistra. La giovane generazione di lì a poco avrebbe disertato le urne o votato Nader, consegnando l´America a otto anni di presidenza Bush. La protesta contro il Nafta e le delocalizzazioni in Messico oggi appare sfuocata: nessuno nel 1999 capì che sarebbe stata la Cina la grande vincitrice del decennio successivo, dopo il suo ingresso nel Wto. Solo la grande crisi del 2008-2009 ha riabilitato interi filoni del pensiero alter-globalista. Quando il premier britannico Gordon Brown propone una tassa sulle transazioni finanziarie; quando India e Brasile erigono barriere contro l´afflusso dei capitali speculativi dall´estero, i germogli seminati nel caos di Seattle rispuntano dove meno te l´aspetti: nel discorso pubblico delle nostre classi dirigenti.